Macroregione Triveneta. Sì, ma strada in salita.

C'erano una volta le Tre Venezie: Euganea, Tridentina, Giulia. Un'invenzione culturale, prima che geografica. Poi vennero le tre Regioni, due nate addirittura con il trattino, quindi "artificiali" come le definirebbe Claudio Magris. Due Regioni "speciali", figlie della guerra e soprattutto del dopoguerra. Poi arrivò il Nordest, una dimensione economica e quasi antropologica; un modo di essere, di pensare, di costruire, ma poco altro. Ho letto con attenzione il documento programmatico dei promotori della Macroregione Triveneta. Clicco "mi piace". C'è un senso logico nella proposta di fondere le tre regioni: si tratta di dare un'unica governance a una realtà che in gran parte già esiste e che consentirebbe di superare steccati oggi incomprensibili. Tutto ciò che va nella direzione di realizzare economie di scopo e di scala attraverso fusioni istituzionali che interessano aree omogenee o complementari, deve essere salutato positivamente. Dai Comuni alle Regioni.
Del documento apprezzo l'ordine d'importanza dei "pilastri" della macroregione: cultura, conoscenza, ricerca e innovazione; ambiente e difesa idrogeologica; turismo; infrastrutture logistiche e immateriali; lavoro, salute, servizi sociali e benessere. Condivido questo approccio che mette in evidenza i punti di forza e le potenzialità, ma anche i versanti sui quali migliorare. E ce ne sono molti: dai collegamenti viari e ferroviari all'abbandono della montagna bellunese, dalla razionalizzazione della logistica alla riduzione della frammentazione degli atenei. Poi ci sono i nodi dovuti ai confini tra le attuali regioni. Quanto si è discusso (per nulla) della Valdastico Nord? Quanto si discuterà ancora dei porti dell'Alto Adriatico e del ruolo di Venezia e Trieste? Nella colonna dei desiderata con il segno "più" ci sono: autonomia fiscale, governo delle infrastrutture, investimenti, fondi europei, occupazione, autonomia sanitaria, autonomia sulla sicurezza, autonomia scolastica, forza della macroregione alpina, cultura veneta nel mondo. Nella colonna del segno "meno" ci sono solo le tasse. Bello. Ma sarebbe più credibile accontentarsi di una maggiore autonomia fiscale a parità di gettito complessivo. Già questa sarebbe una rivoluzione. Nel manifesto programmatico avrei gradito un riferimento anche al sistema creditizio. La tempesta che ha investito la Popolare di Vicenza e Veneto Banca e l'imminente riforma delle Bcc sono elementi su cui riflettere. Eviterei poi cadute nel "monolocalismo" come "Triveneto patrimonio dell'Unesco" o la creazione del marchio "Made in Triveneto". Non scadiamo nel ridicolo. Nel mondo noi vendiamo due cose: il "Made in Italy" e Venezia. Tutto il resto dipende dalla qualità e dal valore aggiunto che sappiamo mettere nei prodotti, senza ulteriori marchietti ed etichette.
Vengo alle dolenti note. Il percorso istituzionale per arrivare alla macroregione è lineare. Almeno quello iniziale. Un po' più accidentato sarà quello politico, in quando i due piani quasi mai coincidono. Sotto questo cielo si sono viste proposte lodevoli miseramente naufragate per i veti e gli interessi dei partiti. Ricordate il movimento dei sindaci per trattenere il 20% dell'Irpef? E con il referendum sull'autonomia del Veneto, come la mettiamo? Zaia e Da Re non sembrano sentirci. Quando poi si tratterà di affrontare il tema della "specialità" della nuova macroregione, cominceranno i problemi. Friuli-Venezia Giulia e Trentino-Alto Adige hanno non solo statuti diversi, ma prerogative alle quali non rinunceranno facilmente. Privilegi per noi incomprensibili. Insomma, le due sorelle minori avrebbero poco interesse a un'autonomia leggermente inferiore a quella attuale. Riusciranno i nostri eroi ad abbattere i campanili regionali? Forse, ma la strada, politicamente parlando, è una parete verticale.
"La tribuna", 17 febbraio 2016

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